Passa ai contenuti principali

Movimento Naturale: Le Tre Unità Funzionali

 


Bruno Carlini, Giulia Alberti e Grace Kiesner durante il primo Stage Nazionale Kalari Yoga (11-12 giugno 2022).

 Foto di Giacomo Favaron

 

Per ciò che riguarda il Movimento Naturale, è necessario fare una breve premessa: nella nostra società il corpo è vissuto spesso come uno scudo o un’armatura che ci difende dall’ambiente esterno.

Nella pratica del Kalari Yoga – come nella pratica dello Hahayoga – il corpo è invece uno strumento di conoscenza, il che presuppone oltre ad uno studio non superficiale dell’anatomia e della fisiologia, una sensibilità quasi febbrile, simile a quella di una madre che avverte lo stimolo dell’allattamento prima che il bambino pianga per la fame.

Per praticare correttamente la tecnica di Hahayoga chiamata Mūla Bandha, per fare un esempio, si deve avere la capacità di isolare la muscolatura sottile del pavimento pelvico, distinguendo tra i muscoli che fanno innalzare l’ano, quelli che fanno spostare il coccige, quelli che fanno muovere i genitali, ecc. ecc. mentre la maggior parte delle persone non ha neppure idea di dove siano situati lo sfintere anale o il muscolo pubococcigeo

Alla mancanza di consapevolezza corporea si aggiunge un equivoco in cui si incorre spesso nella pratica delle moderne discipline psicofisiche orientali: si considerano le posizioni o gli esercizi, in questo caso gli āsana e i vadivu, o come simboli di realtà trascendenti o come mezzi per ottenere un corpo sano ed elastico, mentre, dal nostro punto di vista, il “vero” āsana e il “vero” vadivu dovrebbero “insorgere come un fiore che sboccia”, in altre parole āsana e vadivu sono – dovrebbero essere  - una conseguenza del  Movimento Naturale.

Il fine delle posture e degli esercizi di coordinazione del Kalari Yoga non è quello di acquisire tecniche, ma quello apprendere, anzi di “ricordare”, il Movimento Naturale dell’essere umano.

Movimento Naturale significa “arrendersi alla gravità”, lasciare, cioè, che il corpo risponda alle variazioni dell’equilibrio organizzandosi da solo, senza l’intervento della volontà. Il risultato finale è una specie di danza istintiva, fatta di posture e traiettorie, talvolta inusuali, che si accompagnano ad uno stato di generale benessere di cui credo sia interessante cercare di comprendere i motivi.

Fissiamo alcuni punti fondamentali:

1.      il corpo dell'animale uomo è nato per lottare. Lotta continuamente per sopravvivere e questo significa che deve mettere il corpo in grado di attaccare o fuggire, cioè muoversi, nella maniera più efficace possibile;

2.      Il movimento più efficace ai fini della sopravvivenza è quello più ergonomico, quello che, cioè, porta ad ottenere il massimo risultato con il minor dispiego di energia;

3.      Il minor dispiego di energia si ottiene passando velocemente da una condizione di estensione ad una condizione di riposo: se devo afferrare una mela allungo il braccio e di conseguenza tutto il corpo verso il ramo; se devo mangiare la mela che ho afferrato, rilasso immediatamente il corpo per concentrare le energie sull'assimilazione del cibo.

 

Se allungo una mano allungo anche il busto e le gambe, se la rilasso, rilasso anche busto e gambe, e sono pronto a muovermi in altro modo e altra direzione: è una questione di semplice logica.

Se una parte del corpo, magari il polpaccio, è contratta e voglio allungarmi verso il ramo per afferrare la mela, il processo di estensione verrà interrotto da un fastidio o da un dolore.

Il corpo, ai fini della pratica del “Movimento Naturale”, può essere considerato come un insieme di sette fasce elastiche, chiamate meridiani mio-fasciali, con funzioni e caratteristiche diverse.

Se in uno dei meridiani mio-fasciali si vengono creare dei nodi o dei blocchi, quando mi si richiede di estendere il corpo proverò fastidio o dolore.

Le catene muscolari sono collegate agli organi interni e ai sei diaframmi del corpo (diaframma urogenitale, pelvico, toracico, della gola, del palato molle, tentorio), e concorrono alla formazione, per così dire, tre zone, o “Unità Funzionali” (U.F.)[1] che somigliano ai tre nodi della non consapevolezza:

testa e collo (U.F. del pensiero).

Torace e addome (U.F. delle emozioni).

Gambe, braccia e mandibola (U.F. delle azioni).

Un blocco in una delle tre Unità Funzionali, attraverso i diaframmi e i meridiani mio-fasciali, si ripercuote sulle altre due, sui visceri e sulle ossa. Ciò significa che, grazie al sistema mio-fasciale un blocco emotivo o una rigidità mentale si esprimono nella postura del corpo e nella qualità del movimento, così come una contrattura muscolare o l’ipertrofia di un organo interno finiscono per influenzare la condizione mentale e la sfera emotiva.

Le rigidità del corpo e della mente si traducono in uno stato di generale malessere a causa delle informazioni che i "propriocettori" o “recettori propriocettivi”, inviano al cervello.

I propriocettori sono terminazioni nervose sensibili alle minime variazioni di posizione del corpo e delle sue membra. Alcuni misurano la variazione di lunghezza di un muscolo, altri lo spostamento di un osso rispetto ad un altro, altri ancora la pressione e la frequenza delle vibrazioni sulla pelle.

Attraverso il midollo spinale questi raffinatissimi strumenti di controllo ci danno, in poche frazioni di secondo, informazioni che sarebbero sufficienti a farci assumere in ogni situazione la corretta postura (cioè una postura ergonomica) e a compiere ogni movimento nella maniera più giusta per la nostra anatomia.



[1] Vedi: http://www.alessandrobenevento.it

Commenti

Post popolari in questo blog

ŚĪRṢĀSANA, LA “VERTICALE SULLA TESTA”

  "Inversions cultivate the yogic mind." (B.K.S. Iyengar) Śīrṣāsana è “il re degli āsana” [1] , Il suo nome viene da शीर्ष śīrṣa, “fronte”, “cima”, “cranio”, “testa”, e आसन āsana, “postura”, “stare seduti”, "mantenere una postazione contro l'attacco del nemico". In questo caso potremmo dire che il "nemico" è il timore di cadere. Una volta assunta la posizione, se non ci si “arrende alla gravità” e si contraggono i muscoli per reazione, naturale, alla paura del vuoto, il corpo si flette, indietro o lateralmente. Un trucco per mantenere a lungo la posizione senza troppi problemi è non contrarre mai le gambe, ma pensare di distenderle verso l'alto come se un raggio di energia o un fluido uscisse dalla pianta dei piedi o dalla punta delle dita. Può essere di aiuto immaginare di assorbire, inspirando, un’energia “positiva”, sotto forma di un fluido denso come il mercurio del termometro, dal naso, indirizzarlo verso l'addome (inspirando) ed espirar

Che cos'è il Kalari Yoga

  Cosa è il Kalari Yoga? [1] Di certo non è un nuovo stile da lanciare nel mercato della spiritualità, né, nonostante si riferisca nel nome e nelle forme all’antica arte marziale indiana del Kalaripayattu –uno sport da combattimento, ma si tratta per me dell’’ennesima tappa di un lungo percorso di ricerca sulle origini dello Yoga; un percorso intrapreso insieme a Laura Nalin e ai nostri collaboratori, alcuni decenni fa, quando, dopo aver notato alcune incongruenze nei testi e nelle tecniche che insegnavamo, abbiamo cominciato a mettere in dubbio l’esistenza di uno Yoga unico. L’insorgere di tale dubbio è un’esperienza comune a molti praticanti “anziani”: improvvisamente alcuni degli insegnamenti ritenuti “tradizionali” e al di sopra di ogni possibile discussione – come quello degli yama e dei niyama, i dieci principi etici di Patañjali – cominciano a stridere con ciò che si sperimenta e con ciò che si legge, nei testi classici dello Ha ṭ hayoga, come Gorak ṣ a Sa ṃ hitā, Ghera ṇḍ a Sa